Canonizzazione dei Martiri di Damasco e Giornata di Terra Santa a Roma
“Come insegnano i nuovi santi, ogni cristiano è chiamato a prendere parte a questa missione universale con la propria testimonianza evangelica in ogni ambiente. Sosteniamo, con la nostra preghiera e con il nostro aiuto, tutti i missionari che, spesso con grande sacrificio, portano l’annuncio luminoso del Vangelo in ogni parte della terra”.
Sono queste le parole con cui Papa Francesco ha concluso a Roma la celebrazione della Giornata Missionaria e la canonizzazione dei “Martiri di Damasco”, undici uomini (otto frati francescani e tre cristiani maroniti) uccisi a Damasco nel 1860.
Una cerimonia festosa e solenne che ha visto la presenza in piazza San Pietro anche di una rappresentanza dell’Associazione Missioni Francescane di Trento che, nella giornata precedente, aveva partecipato, sempre a Roma, all’incontro annuale delle Associazioni che in Italia sostengono i progetti in Terra Santa.
L’incontro è stato chiuso dall’intervento di fra Francesco Patton che ha sottolineato come, “nella stagione di prova che vivono oggi i cristiani in Siria e in Libano, la canonizzazione dei “Martiri di Damasco” sarà di grande conforto e sostegno ai cristiani rimasti in quelle terre”. Perché, se – come ha detto Paolo VI – “il martirio è dimostrazione assoluta di amore”, oggi “ in Terra Santa abbiamo tante espressioni di martirio”.
“C’è la dimostrazione d’amore di chi non abbandona le proprie posizioni: penso ai frati che operano nella valle dell’Oronto controllata dall’Isis e ai cristiani rimasti a Gaza. Penso alla presenza pacifica e dialogante in ogni circostanza, anche con chi opprime. Penso all’accoglienza che non fa distinzioni: ad Aleppo in Siria e a Tiro, in Libano”.
“E’ dimostrazione d’amore anche rimanere nei luoghi santi per mantenerli vivi; condividere i rischi che vivono le persone; non farsi trascinare nel vortice dello scontro etnico-religioso, evitando di essere contaminati dalla cultura tossica dell’odio”.
“E’ dimostrazione d’amore anche quella dei cristiani che rimangono a Betlemme senza lavoro e che chiedono solo di non essere dimenticati. Ma anche di chi – non cristiano – riesce comunque a tenere libero il cuore dal desiderio di vendetta”.
Tra le storie dei “Martiri di Damasco” ce n’è una che tocca da vicino anche il Trentino. Si tratta della storia di uno degli otto frati francescani, un missionario partito dalle valli alpine. In Palestina e in Siria lo chiamavano “Abuna Malak”, ovvero Padre Angelo, ma Michael Kolland era nato (1827) in quel Tirolo che all’epoca comprendeva anche Alto Adige e Trentino. Proprio a Trento, nel 1851, venne ordinato sacerdote e poi a Bolzano si dedicò allo studio delle lingue straniere, in modo particolare l’arabo.
Nella primavera del 1855 si trasferì a Gerusalemme, frate francescano missionario in Terra Santa. Prima al Santo Sepolcro, poi a Damasco. Proprio qui, nel convento di San Paolo, “Abuna Malak” venne ucciso assieme ai confratelli il 10 luglio 1860. Aveva 33 anni.
I “martiri di Damasco” furono proclamati beati nel 1926. Dopo quasi 100 anni, è arrivata la canonizzazione. Una decisione che, nei tempi, non può non essere collegata allo straordinario e drammatico momento che sta vivendo il Medio Oriente.